1713

Carlo Bartolomeo Piazza, Emerologio di Roma Cristiana, Ecclesiastica e Gentile dell’abbate Carlo Bartolomeo Piazza Degli Oblati de’ SS. Ambrogio, e Carlo di Milano, e Arciprete di S. Maria in Cosmedin, Tomo I Gennaro, Febraro, Marzo, Aprile, Maggio, e Giugno, A Clemente XI Pontefice Massimo, in Roma MDCCXIII, Nella Stamperia del Bernabò. Con licenza de’ Superiori, pp. 110-111, 1713, Roma, Italia.

IV. Febraro

S. VERONICA Nobile Matrona Gerosolimitana, la quale si crede la Donna sanata da Cristo dal flusso di sangue, chiamata dal Baronio col nome proprio di Berenice, essendo questo di Veronica tolto nuncupativo dal Volto Santo; la quale mentre Giesù Cristo Nostro Salvatore uscito dalla Casa di Pilato s’incamminava tutto insanguinato per le asprissime battiture, e fiere trafitture della Corona di Spine verso il Calvario, dopo 450. passi, come osserva Andrea Cristiano, et avvicinandosi ad una Casa, che faceva cantone (altri dissero dalla sua Casa, ch’era su la strada del Calvario), scoprendolo da lontano, venne per compassione ad incontrarlo, e trattosi il velo da Capo glie lo porse, acciò si riasciugasse il viso, tutto bagnato di sudore, e di sangue, ed egli benignamente riceutolo, glie’l rese poi con ricompensa cortese dell’impressa figura del sagro suo Volto, ma con un sembiante così naturale, che vi si vede per sino il segno delle dita di colui, che gli aveva empiamente data la guanciata. Lieta di così prezioso Tesoro l’Illustre Matrona lo custodì con affettuosissima gelosia nella sua Casa fin tanto che venendo a Gierusalemme da Roma gl’Ambasciatori di Tiberio per aver da Pilato inteso, che Giesù Cristo faceva tanti miracoli, per esser egli pure liberato da un infermità; ma ritrovandolo già Crocefisso, e narrando loro i Giudei la favola del Corpo tolto da’ suoi discepoli, ella gli disingannò, mostrando loro quella sagra Imagine, offrendosi di venir seco a Roma, perche sarebbe alla di lei vista risanato.

Posto dunque in una Cassa il sagro pegno, con essi se ne venne a Roma, e presentatasi con esso all’Imperatore tosto lo risanò: onde Tiberio volle far onorare tra gl’altri Dei nel Larario anco Giesù Cristo. Ma nol comportò il senato, dice il Card. Baronio, col pretesto, che egli non voleva nel Culto, che ad un sol Dio si deve. Morì in Roma questa santa Donna, e rimase il sagro Tesoro in mano di S. Clemente successore di S. Pietro, indi de’ Sommi Pontefici. E se bene de essa nulla abbiamo, nulladimeno si tiene, che morendo in Roma, fosse quì sepellita, e nel Breviario Ambrosiano se ne fa menzione. Così Pietro Galesino annoverandola nel suo Martirologio con queste parole. Roma S. Veronica, qua Vultum Domini ad eam Urbem Hierosolyma attulit, Il Signorile col Panziroli, vogliono, che il suo Corpo sia sepolto in S. Pietro; dove con tanta celebrità, e culto si venera il Volto Santo, detto perciò il Sudario di Veronica (altri dissero chiamarsi lo stesso Sudario Veronica) degno della venerazione di tutto il Mondo; benemerita ella perciò sommamente di Roma, alla quale recò così inestimabil Tesoro. Del suddetto racconto così dice Pietro Diacono. Sudarium, cum quo Christus faciem suam extersit, quod ab aliis Veronica dicitur tempore Tiberii Casaris Romanis delatum est etc.

Alla Basilica di S. Pietro, ov’è il sudetto inestimabil Tesoro del Volto di Giesù Cristo, et alla Rotonda, ove la prima volta fu riposto, e vi si mostra ancora una Cassa, nella quale si tiene, che fosse rinchieso quando venne da Gerusalemme. Et un’altra pur con molti contrasegni di venerabile antichità si mostra alla Chiesa di S. Eligio, detta S. Alò de’ Ferrari, e dovette essere l’interiore, ove stava più intimamente rinchiuso il sagro pegno; di cui diacisi licenza per nostra, et altrui consolazione che ne descriviamo i divini, e generabilissimi lineamenti distintamente osservati, come pur li descriva Gio. nella sua settima lezzione del Volto Santo; trovasi in esso non senza tenerissima compunzione il Capo tutto trafitto di spine, la Fronte insanguinata, gl’occhi pieni di lividure di sangue, tutta impallidita la faccia, nella guancia destra mirasi ivi crudelmente stampata la guanciata della mano ferrata di Malco, e nella sinistra i segni de’ sputi de’ Giudei, e loro machie, il naso alquanto schiacciato, et insanguinato, la Bocca aperta, e sparsa di sangue, i denti scossi, e la barba pelata in qualche parte, e i Capelli da un lato svelti, e tutta la Santissima Faccia mischiata, così contraffata com’ella è di Maestà, e di compassione, di amore e di mestizia; onde quando nelle prescritte solennità si mostra all’infinito popolo, che vi concorre con celebrità di funzione, cagiona un sagro orrore una mestissima confidenza, una dolorosa penitenza, e tocca quel beatissimo sembiante vivo testimonio dell’ingratitudine del genere umano fin dentro il cuore de’ Fedeli riguardanti, e risveglia un generoso proslufio di lagrime penitenti, e fiamme di amore al nostro Benignissimo Redentore.

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In questo aggiornamento dell’«Emerologio di Roma» l’autore aggiunge alla voce su Santa Veronica del 4 febbraio la descrizione della reliquia romana fatta dal teologo e predicatore agostiniano Giovanni Gregorio. Il testo che racconta dei particolari precisi  – barba strappata, occhi lividi, bocca aperta, denti scossi, capelli svelti – non ci permette di identificare l’immagine a cui sembra far riferimento, ma di fatto esclude sia la copia della reliquia romana dello Strozzi (simile a una maschera funebre) sia quella di Ugo da Carpi (scura tipo Mandylion). Al momento, la corrispondenza tra questa descrizione e le copie della reliquia di BrugesTagliacozzoSchwarzenfeld e Roma induce a ipotizzare che questo testo possa essere all’origine dell’iconografia della veronica sofferente e a bocca aperta diffusa sino al 1800/inizi 1900.


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