1859

Gaetano Moroni, Veronica, in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. XCV, prosa, 1859, Venezia, Italia. Tipografia Emilana.

 

Veronica, Veronicae. Vocabolo formato dalle parole Vera Icon, vera immagine. E’ la rappresentazione della venerabile faccia di Gesù Cristo, detta comunemente Volto Santo, improntata sopra un pannolino o fazzoletto o velo, che gelosamente si custodisce con somma venerazione, fra le tre insigni ss. Reliquie maggiori della patriarcale basilica o Chiesa di s. Pietro in Vaticano di Roma, in un oratorio o nicchia situata nell’interno d’uno de’ 4 grandiosi piloni o ottagoni che sostengono l’eccelsa cupola (cioè in quello denominato della Veronica, ne’ fondamenti del quale Giulio II pose la 1^ pietra per la gigantesca mole, a’ 18 aprile 1506), a cornu Epistolae dell’altare papale, con loggia per l’ostensione di detti sagri tesori.

Paolo V nel 1606 vi collocò il Volto Santo, ed Urbano VIII nel 1629 la s.Lancia e del legno della s. Croce. E’ l’edifizio nell’esterno, ornato con bassorilievo esprimente il Volto Santo, mentre a’ suoi piedi, nel corrispondente nicchione sottoposto esterno, sopra basamento è la statua marmorea colossale di santa Veronica, che il Mochi espresse in atto di mostrare colle mani il medesimo Volto Santo, di cui riparlai nel vol. LXXXVIII, p. 231 e altrove della censura del Bernini e della risposta arguta di Mochi. Inoltre nel ricordato articolo dissi pure, e qui meglio dichiarerò, della cappella della Veronica, esistente nelle sagre Grotte Vaticane della mentovata basilica.

Grotte Vaticane

Leggo nella Descrizione della sacrosanta basilica Vaticana, edizione romana 4, del 1828. Il luogo sotterraneo che resta prossimo all’antico cimiterio o arenario Vaticano, fra il pavimento della nuova basilica e una parte non piccola del piano della vecchia, e che per conseguenza fa una di lei porzione, degnissima di sagro culto, prese abusivamente il nome di Sagre Grotte, colla suddivisione di vecchie e nuove. La discesa comune è sotto la detta statua di s. Veronica, sebbene vi siano altri 3 ingressi sotto le 3 altre colossali statue a pie’ degli altri piloni, e dalle due porte al ripiano della Confessione Vaticana. Internandosi per quello detto della Veronica vedesi sulla sinistra una porta di metallo, per cui mediante una scala a chiocciola si sale alla suddetta nicchia e loggia delle ss. Reliquie maggiori. Per ordine d’Urbano VIII il Bernini ornò le 4 grandi nicchie da lui scavate nei piloni, e vi formò la cappella sotterranea della Veronica e le altre 3 cappelle di figura emicicla, e le decorò di due colonne di breccia d’ordine jonico, ricevendo il lume da due Feritoie nel piedistallo delle sovrapposte statue di s. Veronica e altre. I quadri degli altari sono opera a musaico di Fabio Cristofari sul disegno d’Andrea Sacchi. Le pitture delle cappelle e de’ corridori che da esse portano a quello della Confessione furono fatte ai tempi di Paolo V e Urbano VIII, poi restaurate da Benedetto XIV: l’autore fu Gio. Battista Ricci da Novara, il ristoratore Gioacchino Borti romano; altro restauro ebbero nel 1824. Il quadro dell’altare in discorso, rappresenta s. Veronica che porge il velo al Redentore. Nelle pareti vi sono espresse, due per parte, Maria Vergine, e le tre Marie (delle quali riparlai nel vol. XCIV, p. 45 e segg.). Nel 1° ovato della volta vedesi Urbano VIlI che riceve dal Bernini il disegno delle 4 cappelle (alle quali il Papa istituì altrettanti cappellani, addetti alla Biblioteca Barberini); nel 2.° Bonifacio VIII che mostra il Volto Santo a Carlo II re di Sicilia, ed a Giacomo II re d’Aragona nel 1296; nel 3° quando d’ordine di Nicolò V fu mostrato all’imperatore Federico III. Nelle pareti del corridore dalla parte del Vangelo vi è espressa la Veronica che dà il velo al Salvatore, ne’ lati le sorelle Marta e Maddalena. Incontro quando la Veronica dispone di recare a Roma il s. Sudario (V.): da’ lati Maria di Giacomo e Maria Salome, Maria Vergine e Maria di Cleofa. Nella volta sono espressi 3 fatti, la Veronica che mostra il s. Sudario al popolo; Giovanni VII del 705 col tabernacolo da lui eretto per custodirlo nella cappella da lui fabbricata nella stessa basilica in onore della Madonna delle Partorienti; ed il s. Sudario mostrato a Lodovico I re d’Ungheria per ordine di Clemente VII (meglio VI).

Su santa Veronica

Tuttavolta s’impugna l’esistenza della virtuosa femmina chiamata s. Veronica. L’eruditissimo commentatore del Butler chiama egualmente Veronica il Sudario che fu posto sopra il volto adorabile del Salvatore, quando egli andava al Calvario carico della Croce; onde noi nella sesta stazione della Via Crucis, meditiamo e veneriamo quando Gesù fu asciugato col detto panno dalla pia donna denominata Veronica, espressa in figura di donna presso il Redentore col Volto Santo pendente dalle mani ne’ quadri delle stazioni, affinché egli imprima nell’anima nostra la memoria continua delle sue acerbissime pene, patite dolorosamente nella sua Passione, così come impresse il s. Volto suo nel panno presentatogli da Veronica. Ma l’encomiato annotatore, quanto al vocabolo, se pur fu nome d’una donna, e di cui tanto si è scritto e parlato, si limita a dire Che che sia di ciò, Veronica vuol dire vera immagine, essendo questa parola composta di vera e di iconica”. In s. Gregorio di Tours, soggiungevi, si trova iconica, invece di icon. Si fa menzione della reliquia del Volto Santo, in un antico cerimoniale, o meglio Ordine Romano, che fu dedicato al Papa Celestino II nel 1143, e che il p. Mabillon pubblicò nel suo Museum Italicum; nel Flores historiarum, di Matteo di Westminster, che cita le parole d’ Innocenzo III morto nel 1216; e in una bolla di Nicolò IV del 1290. Fra le messe votive del messale di Magonza del 1493, vi è quella di s. Veronica, seu vultu Domini. Dice inoltre: “Non fa mestieri avvertire che i cristiani onorando la Veronica, ossia l’immagine del Salvatore, onorano il Salvatore medesimo, di cui questa immagine richiama ad essi la memoria. Si faceva altra fiata l’uffizio della Veronica, e da esso s’è tratta l’antifona che si dice ancora in alcune chiese particolari. Quello che abbiamo detto del culto che si rende alla Veronica, deve intendersi di quello che si rende al s. Volto di Lucca, il quale non è altro che un Crocefisso miracoloso, che si conserva da gran tempo addietro nella cappella della s. Croce della cattedrale di quella città.

Avvi una copia della Veronica alla badia di Montreuil-les-Dames in Thierache, dell’ordine cistercense. Ella vi fu mandata da Pantaleone cappellano d’Innocenzo IV e arcidiacono di Laon, poi Urbano IV, che vi aveva una sorella. Egli nel 1249 scrisse a questo soggetto una lettera alle religiose, che si trova nel trattato De Linteis sepulchralibus di Chifflet. “Il parere di quelli che chiamano santa Veronica quella femmina pia, ch’essi suppongono aver presentato un fazzoletto a Gesù Cristo, quand’egli montava al Calvario, non sembra appoggiato che sopra certi quadri, ov’è dipinta una donna tenente nelle mani la Veronica. Lo sbaglio di alcuni non può ricadere sulla Chiesa che non ha mai riconosciuto tale santa. La festa della Veronica non è stata istituita in alcune chiese, che per onorare Nostro Signore, forse nell’occasione di qualche immagine o vera o celebre della s. Faccia. Per questa cagione si fece a Roma il 23 novembre 1011 la dedica di un altare del s. Sudario, sotto la cupola (sic) del quale si custodiva il velo (dovrebbe dirsi della basilica Vaticana, come ho già riferito) in cui il s.Volto era impresso. Noi sappiamo questo da un breve di Papa Sergio IV. Questa s.Faccia era portata in processione, e si diceva una messa votiva della S. Veronica, ossia della sagra rappresentazione di Gesù Cristo. A Parigi e in qualche luogo della Francia si faceva una festa in nome della s. Faccia di Nostro Signore il martedì della Quinquagesima (aggiungerò col Manuel des dates, anche nel dì delle Ceneri)”. Cita Baillet, Feste Mobili, Papebrochio, Maii, e le note di Chastelain sul Martirologio Romano. Presso a poco altrettanto avea già pubblicato il Bergier, nel Dizionario enciclopedico, riferendo le diverse opinioni che ritengono il Volto Santo essere il sudario posto sul volto del Redentore, che altri senza prova si sono persuasi che sia il fazzoletto con cui una santa donna di Gerusalemme asciugò il volto del Salvatore, quando andava al Calvario carico della sua croce. Anch’egli ripete, che questa opinione popolare potè nascere perché i pittori di frequente rappresentarono la Veronica, o la vera immagine, sostenuta dalle mani d’un Angelo, ed altri dalle mani d’una donna. Crede anche il Bergier che il 1° monumento che ne parlò risalga soltanto al detto anno 1143, e ignorarsi il principio del suo culto. Con questo onorarsi il Salvatore, ed essere simile a quello di Lucca, ed ai ss. Sudarii di Torino, Besancon, Colonia, ed altre simili rappresentazioni. “Le messe, gli uffizi, le preghiere che a tal oggetto furono composte, hanno per soggetto Gesù Cristo e ci rammentano i di lui patimenti; esse non hanno alcuna relazione alla pretesa santa donna di Gerusalemme chiamata Veronica, che la Chiesa non ha mai riconosciuto”.

Tutto letteralmente trovo ripetuto nella Biblioteca sacra di Richard e Giraud. Ma dell’anteriorità di secoli che Roma si gloria possedere il Volto Santo, e che abbia esistito la s.Veronica di Gerusalemme, lo sostengono quegli scrittori che produrrò in quell’articolo, oltre i seguenti.

Narra l’annalista Baronio, all’anno 34, n. 138, stimarsi diverso il ss. Sudario, in cui fu involto il capo del Signore nel sepolcro, da quello accostato da Berenice alla divina faccia di sangue e di sudore aspersa, in cui rimase impressa l’immagine di quella, come si ha per tradizione e si riferisce in un mss. della biblioteca Vaticana, che tratta della traslazione dell’istesso sudario fatta a Roma. Di Berenice, nomata anche Veronica, e di tale immagine si fa altresì menzione da Metodio vescovo, antico cronografo. Ed in Torino si conserva e venera la ss. Sindone ove fu ravvolto nel sepolcro il corpo del Signore, che vi lasciò improntata la propria figura, secondoché sino al presente si vede.

Il dotto vescovo Pompeo Sarnelli nelle Lettere ecclesiastiche, ci die’ nel tomo 6, la lett. 7a: Se Veronica sia nome di una santa donna, oppure del Volto Santo del Salvatore. Premette le ragioni di quelli che affermano: Veronica è il nome del Volto Santo, non già di alcuna donna santa di tal nome, le quali sono.

1. Che nel Martirologio romano non è registrata alcuna santa donna, che si chiami Veronica.

2. Che al tempo d’Innocenzo III si lavoravano alcune medaglie di stagno colla figura del Volto Santo e le chiavi di s. Pietro, le quali si vendevano a’ pellegrini da certi artefici chiamati vendentes Veronicas; sicché Veroniche erano le medaglie col Volto Santo.

3. Negli antichi messali d’alcune diocesi d’Alemagna, e precisamente della chiesa di Augusta, stampati nel 1555, vi è la rubrica: Missa de Vultu Sancto, seu Veronica. E Giacomo Gretsero, nel suo trattato De imaginibus non manufactis, al cap. 7, dice: che in Germania si usa di dipingere nella parte deretana dell’altare maggiore delle chiese l’immagine della Veronica, e che il popolo ha la divozione d’accostarvisi, far sopra di essa il segno della croce, e poi nella propria fronte; e che questa divozione è tanto frequente, ch’è necessario fare rinnovare e rinfrescare le dette pitture, che per essere da tante mani toccate perdono di colore e si consumano.

4. Che la parola Veronica, mutate alcune lettere dice Vera Icon.

A queste riflessioni risponde Sarnelli. Tutti gli scrittori di Terra Santa, e precisamente Adricomio, nella Descrizione di Gerusalemme, n. 44, costantemente affermano, che la casa della Veronica era situata sopra la strada medesima, per cui Cristo colla Croce sulle spalle passava; onde al trapassar che di là fece il Redentore tormentato, uscita di casa, e vista la di lui faccia da sputi e sangue deformata, prese un panno (si stima di bombagia) che sul capo portava, lo porse a Gesù per rasciugare il sangue e il sudore, che dal viso gli gocciava; il quale da Cristo ricevuto, e asciugatosi la faccia con esso, impresse nel velo l’effìgie del suo sagratissimo volto, e a Veronica in caparra di eterno amore lo restituì. Di questa verità autenticata da una perpetua e non mai interrotta tradizione, ne fanno fede gran numero di scrittori appresso il Mallonio, ne’ Commentari della sagra Sindone, c.1 e 14. Il Berdini, nell’ Istoria dell’antica e moderna Palestina, ed altri, oltre il cardinal Baronio negli Annali ecclesiastici, asseriscono altrettanto. Giacomo Pamelio, nelle sue Annotazioni sul cap. 2 dell’Apologetico di Tertulliano, dice ancor egli: Effigies Christi, quam Veronicae in Sudario dedisse traditio est, etiam nunc extat tanta in veneratione, ut de illa dubitare post hac non modo miracula non permittant, sed nec aspectus ipse. Il quale, come narra Gio. Gregorio, lib. 17, Del Pretorio di Pilato, n. 10: “Si vede in esso il capo tutto spinato, la fronte insanguinata, gonfi gli occhi, e di sangue ripieni, livida e annerita la faccia, e nella guancia destra, oltre le lividure, vi si scorge quasi stampata la ferrata mano di Malco, che in casa di Anna lo percosse, e nell’altra più macchie di sputi; il naso schiacciato e insanguinato, aperta la bocca e pur di sangue ricolma, con gli denti smossi, barba pelata e gran capelli svelti”. In quanto al segno della guanciata, Giovanni Lanspergio, Hom. 19, De Passione, lasciò scritto: Quod Christi facies in eodem impressa Sudario digitorum vestigia impressa retineat, et aspicientibus monstrat, quod armata manu Christo Domino inflixere.

Tuttociò premesso, il Sarnelli passa ad una ad una a rispondere alle 4 riflessioni.

1. Quanto alla prima, egli dice, non essere meraviglia, che s. Veronica non sia registrata nel Martirologio romano, imperocchè lo stesso Martirologio termina ogni lezione con queste parole: Et alibi aliorum plurimorum Sanctorum Martyrum, et Confessorum, atque Sanctarum Virginum [e altrove di moltissimi altri santi martiri e confessori e di sante vergini]. Infatti nel Martirologio non si fa menzione di s. Nicolò Pellegrino patrono di Trani, e il cardinal Baronio ne tratta all’anno 1094, n. 38, come di s.Veronica all’anno 34, n. 138.

2. Alla seconda dichiara, poter essere avvenuto, che dipingendosi il Volto Santo, disteso e pendente dalle mani della Veronica, questo nome siasi dato al Volto Santo. Così appare nella statua colossale della Veronica, che sta in uno de’ 4 nicchi de’ pilastri della cupola di s. Pietro di Roma.

3. Soggiunge alla terza, che nel messale d’Augusta è questa orazione. Deus, qui nobis signatis lumine Vultus tui memoriale tuum,ad instantiam Beate Veronicae, Sudario impressam imaginem tuam relinquere voluisti; praesta, quaesumus, per S. Crucem, et gloriosam Passionem tuam ita nunc per speculum in aenigmate venerari et adorare, et honorare te ipsum in terris, quatenus te in novissimo die facie ad faciem venientem super nos judicem saecuri, et laeti videre mereamur, qui cum[1] etc. Matteo parigino, nella sua Storia, dove comincia a parlare d’Enrico III re d’Inghilterra, dice che Innocenzo III componesse una divota orazione, di cui fa menzione Giacomo Filippo, del seguente tenore. Deus, qui nobis sìgnatis lumine Vultus tui memoriale tuum ad instantiam B. Veronicae imaginem tuam Sudario impressam relinquere voluisti, praesta quaesumus per S.Crucem, et Passionem tuam, ut qui eam hodie in speculo, et aenigmate veneramur in terris, desiderabilem, ac veram faciem laeti, ac saecuri videre mereamur in Coelis. Qui vivis, et regnas etc.

4. Finalmente replicando alla quarta obbiezione, dice che Veronica, Vera Icon, è anagramma, e su gli anagrammi non si fa fondamento istorico.

Quando adunque s. Veronica venne a Roma, toccò l’isola del Zante, nella quale seminò la fede del Crocefisso; onde quegl’isolani da questa santa riconoscono i principii della religione cristiano, e con ispecial culto ne conservano la memoria.

Da Roma passò in Francia, e quivi felicemente al 4 febbraio terminò i suoi giorni nel territorio di Bordeaux, come attestano Pietro Suberto, De cultu Vineae Domini, s. Antonino e altri: i Bollandisti scrissero l’istoria di s. Veronica nel mese di Marzo.

Quanto poi al nome, chiamasi la santa in greco Berenice. I latini, che voltano in V consonante la B greca, la dicono Veronice e Veronica. I macedoni dicono Pheronice, quasi ferens victoriam. Usarono anche i latini la F, in vece del V consonante a tempo di Claudio imperatore, il quale per distinguere il V consonante dall’U vocale, introdusse il digamma eolico, ch’era una figura la quale constava di due gamma greci posti l’uno sopra l’altro, che formano il nostro F maiuscolo, onde per dire servus si scriveva SerFus, e CiFis, per Civis. Plinio nel lib. 7, c. 41 chiama Pherenice quella che Valerio Massimo nel lib. 8 nomina Berenice: cui soli ex mulieribus, quod filia, mater et soror esset Olympionicarum, concessum est, ut Gynmicos ludos posset spectare, foeminis omnibus interdictos[2]. Quanto maggiore e più sublime gloria riportò la nostra Berenice dall’effigie del ss.  Volto, che il Signore impresse nel suo velo? Degli Olimpionici era premio una corona d’ ulivo. Di Berenice fu somma gloria una fronte incoronata di spine, onde in nell’inno del Volto Santo si canta: Salve Sancta facies Nostri Rademptoris – In qua nitet species divini splendoris – Impressa pannuiculo nivei candoris – Dataque Veronicae signum ob amoris[3].

Quindi il medesimo Sarnelli, t. 9, lett. 8: Della donna Emorroissa, dice che si vuole fosse s. Marta, sorella di s. Maria Maddalena, secondo sant’Ambrogio. Però la comune opinione la ritiene di Cesarea di Filippi, città detta prima Dan, poi Panea, indi Cesarea. Nell’istoria mss. greca, tradotta in latino dal p. Combefis e impressa in Parigi nel 1664, si legge: Che l’emorroissa avesse nome Berenice. Indi il Sarnelli nel n.12 replica e aggiunge: “In quanto al nome di Berenice, che noi diciamo Veronica, ch’è lo stesso, in molti luoghi della Francia e Paesi Bassi è con particolar culto venerata e implorata in tutte le infermità di flusso di sangue; benché con nome corrotto in vece di Berenice o Veronica, si dice in alcuni luoghi Venisa e in altri Venizia; ma dalle pitture si ricava essere l’istessa, dipingendosi col s. Sudario a lato, ch’è particolare contrassegno di questa santa, come nota il Bollando ne’ Commentari istorici della medesima. Vedi il p. Calvi, nel Propinomio Evang.,Resol. 22“.

L’eruditissimo Piazza, Emerologio di Roma, ove pubblicò l’opera nel 1713, a’ 4 febbraio riporta per festa di tal giorno: S. Veronica nobile matrona gerosolimitana (fiorita nell’anno 38 di Cristo, sotto Tiberio imperatore), si crede sia la donna sanata da Cristo dal flusso di sangue, chiamata dal Baronio col nome proprio di Berenice, essendo questo di Veronica tolto nuncupativo dal Volto Santo. La quale mentre Gesù uscito dalla casa di Pilato s’incamminava tutto insanguinato per le asprissime battiture e crudeli trafitture della corona di spine, verso il Calvario, dopo 450 passi (come osservano Andrea cristiano, Metafraste e il Surio in detto giorno) avvicinandosi ad una casa, che faceva cantone (altri dissero dalla sua casa, ch’era sulla strada del Calvario), scoprendolo da lontano, venne per compassione ad incontrarlo, e trattosi il velo dal capo glielo presentò, acciò si rasciugasse il viso tutto bagnato di sudore e di sangue, ed Egli benignamente ricevutolo, glielo rese poi con ricompensa cortese dell’impressa figura del sagro suo Volto (Brev. Ambr.: Petr. In Catal.), ma con un sembiante così naturale, che vi si vede persino il segno delle dita di colui, che empiamente gli avea data la guanciata. Lieta di così prezioso tesoro, l’illustre matrona lo custodì con affettuosissima gelosia nella sua casa, finché recatisi in Gerusalemme da Roma (Octav. Pancir., vol xcv. in reg. VIII, Burgi Eccl. XVII) gli ambasciatori di Tiberio, per aver da Pilato inteso, che Gesù Cristo faceva tanti miracoli, per esser egli pure liberato da una infermità; ma ritrovatolo già crocefisso, e narrando loro i giudei la favola del corpo tolto da’ suoi discepoli (Method. Episc., in Hist. Temp.), s. Veronica li disingannò, mostrando loro quella ss. Immagine, offrendosi di portarsi secoloro a Roma, perché sarebbe alla di lei vista risanato. Posto dunque in una cassa il sagro pegno, con essi navigando, la santa se ne venne a Roma, e presentatasi colla medesima all’imperatore, tosto lo risanò; onde Tiberio volle fare onorare tra gli altri Dei nel Larario, anco Gesù Cristo. Ma nol comportò il senato romano, dicendo il Baronio, col pretesto, ch’ egli non voleva nel culto, che ad un solo Dio si deve (sic: forse deve mancare, dopo voleva, una parola, come un mortale, credendolo tale, o Cristo. Pare che lo sdegno del senato derivasse dall’aver Pilato mandato la relazione della passione e risurrezione di Cristo, a Tiberio, e non ad esso senato, com’era costume; sebbene è certo, che ne’ grandi avvenimenti i presidi delle provincie scrivevano direttamente all’imperatore). Morì in Roma la santa donna, e rimase il sagro tesoro in mano di s. Clemente I successore di s. Pietro (cioè nell’anno 93 qual 4.° Papa), indi de’ Sommi Pontefici. E sebbene, continua il Piazza, di essa nulla abbiamo, nondimeno si tiene, che morendo in Roma, fosse qui seppellita, e nel Breviario Ambrosiano se ne fa menzione.

Così Pietro Galesino annoverandola nel suo Martirologio con queste parole: Romae S.Veronicae, quae Vultum Domini ad eam Urbem Hierosolyma attuli[4]. Il Signorile col Panciroli vogliono che il suo corpo sia sepolto nella basilica Vaticana, dove con tanta celebrità e culto si venera il Volto Santo, detto perciò il Sudario di Veronica, benché altri chiamano lo stesso Sudario Veronica, degno della venerazione di tutto il mondo; benemerita perciò sommamente di Roma fu S.Veronica, alla quale recò così inestimabile tesoro.

Del suddetto racconto, disse Pietro Diacono (pare il fiorito nel 515): Sudarium cum quo Christus faciem suam extersit, quod ab aliis Veronica dicitur tempore Tiberii Cesaris romanis delatum est[5], etc. Il Cancellieri, De Secretariis veteris Basilicae Faticanae, in più luoghi ragiona della Veronica. A p. 548 e 549: Veronica num appellaretur Haemorrhoissa? Plerique erigendam curavit, quamque nonnulli Agalham, aut Martham, alii Veronicam, Venicam seu Venisam, non nemo etiam Berenicem, aut Beronicem nuncupatam fuisse dicunt. In supplemento graeci Synaxarii apud Sirmondum die XII Julii occurrit, Memoria s. Veronicae profluvio sanguinis laborantis, quae a Christo sanata est. A p. 855: Veronica in sacristia majori adservata, tabula chrystallo, et argento elaborata, ubi custoditur, et a quibus donata? A p. 1792: An sit nomen mulieris, an potius Vultus Sancti? A p. 1273, 1470: Sine pennicillo depicta, in altare s. Annae, et in conclave clericorum beneficiariorum. A p. 1268: Veronica, et Martyribus Peristromatis, seu Culcitra, ostensio, festa die Ascensionis. Nella Rivista archeologica di Parigi, nel fascicolo d’ottobre 1850, si legge una lettera di Maury a Raoul-Rochette, sulla etimologia del nome Veronica, dato a quella donna che porta il Volto Santo, e sull’origine di tale culto.

Gaetano-Moroni

[1] O Dio, che a noi segnati dalla luce del tuo volto come tuo memoriale, alla presenza della Beata Veronica hai voluto lasciare la tua immagine impressa nel sudario, fa’ che, te lo chiediamo, attraverso la santa croce e passione tua, come coloro che oggi la venerano sulla terra come in uno specchio e in maniera confusa, il vero e desiderabile volto lieti e sicuri meritiamo di vedere nei Cieli. Tu che vivi e regni…

[2] A cui sola tra le donne, poiché era figlia, madre e sorella degli olimpionici, venne concesso di poter assistere ai giochi, proibiti a tutte le donne.

[3] Salve o santo volto del nostro redentore, in cui rifulge l’immagine del divino splendore, impressa in un piccolo panno di candore come la neve e data a Veronica quale segno di amore.

[4] Santa Veronica di Roma, che recò da Gerusalemme a quella città il Volto del Signore.

[5] Il sudario con cui Cristo deterse il suo volto, che da altri è chiamato Veronica al tempo di Tiberio fu portato ai Romani.

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