1669-70

Cosimo Fancelli, Velo della Veronica sostenuto da un angelo, statua, 1669-1670, Ponte Sant'Angelo, Roma, Italia.

L’angelo fa parte della serie di dieci angeli sulle nuvole che reggono l’ Arma Christi. L’angelo di Cosimo Fancelli però non mostra all’osservatore l’impronta della facies Christi, bensì è lui stesso  che rispecchia il suo volto nell’immagine del Volto di Cristo.

Il motto ai piedi dell’angelo consiste solo di quattro parole: “Respicie faciem Christi tui” – “Guarda il volto del tuo Cristo”. La frase è tratta dal salmo 84   “Guarda o Dio, nostro protettore, il volto del tuo consacrato” oppure “ricordati il volto del tuo consacrato”. L’esegesi cristiana lo spiega ecclesiologicamente. In essa cambia il soggetto della frase. Perché ora parla la chiesa orante. Con le parole “guarda …” essa prega Dio di ricordarsi “del Suo Cristo”, cioè di ricordarsi del Suo Figlio Gesù Cristo. Il pensiero è che la Chiesa ricorda a Dio l’azione di salvezza di Suo Figlio.

Nel nuovo contesto, cioè sul basamento di una statua del ponte Sant’Angelo e ai piedi del sudario della Veronica nelle mani dell’angelo, cambia radicalmente il senso del verso frammentato del Salmo 84. La prima operazione semantica consiste nel fatto che in relazione con la statua dell’angelo, ora la “facies Christi tui” del testo denota – inevitabilmente – il Volto di Cristo sul sudario della Veronica che questi tiene in mano. “Respicie faciem Christi tui” significa ora: “Guarda a quella traccia umana che il Volto di Cristo fatto uomo ha lasciato su quella reliquia conservata in san Pietro.” Secondo: cambia il soggetto che parla. Non più il salmista e non più la chiesa, bensì è l’angelo con la riproduzione della facies Christi in mano che dice le parole. Con ciò cambia – terzo – anche l’oggetto della frase. Non è a Dio Padre che ci si rivolge, ma all’osservatore della statua, un passante che utilizza il ponte per giungere a san Pietro. Quarto: già nel salmo 84 la frase aveva la forma di un imperativo. Già lì il singolare dell’imperativo “respice” è rafforzato dall’aggettivo possessivo “tuus”. Nel nuovo contesto ciò spiega completamente un rapporto personale diretto fra il parlante e l’interlocutore, fra l’angelo e il ricettore che guarda leggendo.

Bisognerebbe aspettarsi che l’angelo non si rivolgesse al singolo osservatore solo con le parole “Respice faciem Christi tui”, ma anche che volgesse verso di lui l’immagine della facies. Solo che la cosa è più complicata. L’angelo non è un semplice “angelo indicatore” funzionale. Dal momento che non mostra al passante il Volto di Cristo, ma lo guarda lui stesso e lo osserva, ha seguito evidentemente per primo l’imperativo “Respice faciem Christi tui”.

L’angelo quindi è non solo immagine, ma nello stesso tempo anche modello. Attraverso il suo corpo, attraverso la rappresentazione della sua attività e del suo impeto, il guardare e l’osservare commosso, fa vedere all’osservatore cosa egli debba fare: ”respicere” la “facies Christi”.

cfr. Rudolf Preimesberger, “RESPICE FACIEM CHRISTI TUI”, in L’immagine di Cristo dall’acheropita alla mano d’artista. Dal tardo medioevo all’età barocca, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2007.

 

 


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