1654

Le dodici stazioni che 'l Signore fondò dal Pretorio di Pilato infino al Sacro Sepolcro, divisate per don Vincenzio Giliberto, per Secondino Roncagliolo, 1654, Napoli, Italia.

Giesù, qual Dipintore, nel velo di Veronica ombreggiò il suo volto (Cap XXXII)

194. La Croce trionfale portata fin qui, o dall’ubbidiente Redentore, o da Simone Cireneo, parve nella quattro stazioni di quattro gemme preziose ornata, e tali furono le virtù, le quali dall’artifiziosa mano di san Bernardo con arte divina vi furono incastrate, His namque virtutum gemmis cornua Crucis ornantur, et est supereminentior charitas a dextris obedientia, patientia a sinistris, radix virtutum humilitas in profundo. His ditavit tropheum Crucis consummate passionis.[1] E se nella prima stazione lampeggiò il topazio dell’ubbidienza, Factus obediens usque ad mortem Crucis, poiché quivi s’addossò la Croce. Nella seconda splendette il giacinto dell’umiltà nel cadere bocconi su la terra. Comparve il diamante nella terza per l’amoroso scontro, e per l’abbracciamento con la Madre. E poscia nella quarta fiammeggiò il rubino della pazienza nel cedere a Simmone, per più non potere portar l’amata Croce. Tanto che apparve fin qui e paziente, ed amante, ed umile, ed ubbidiente. Ma in questa quinta stazione si dimostra dipintore onnipotente, posciacché da lui fu ombreggiato il suo divino sì, ma divisato volto nel candido velo, che dalla pia Veronica gli fu porto.

195 Andava oltre il Signore e lasso e stanco, e piede avanti piè procedendo, col viso pallido, tinto di sangue, di sudore bagnato, e di lagrime ingombro, e s’appressava alla casa dove Santa Veronica albergava, la quale uscita fuori per lo tumulto e discorrimento del popolo, vide, ai vista, ai conoscenza, il volto del suo amato e amante Signore, o quanto mutato da quello, ch’esser soleva, e preso incontanente un bianco velo, senza temere né ministri di giustizia, né soldati, si cacciò innanzi, e quello porse all’angoscioso Giesù, il quale con esso rasciugandosi la fronte, vi lasciò impressa l’immagine del volto santo. Infra vari miracoli dell’arte, singularmente si celebra quell’uno e da Plinio, e da Valerio Massimo registrato, che il famoso dipintore Neacle, avendo al vivo delineato un destriere testé tornato dall’artificioso maneggio, stentò più giorni con una spugna in vari colori intrisa, per ombreggiare il rugiadoso non saprei dire se fiato, o vero fiuto (?), ch’egli e dalle labbra e dalle nari spirava, ne avendone mai venuto venire a capo, anzi avendovi del tutto perduto e l’olio e l’opera, sdegnato alla fine, che nel poco mancasse chi molto aveva operato nel più, prese la spugna ne’ colori bagnata, e sì la scagliò su la tavola per distruggere a fatto la dipintura, ma il caso prevalse, dove non valse l’arte, che colpendo ella le nari già fumanti del destriere, vi formò al vivo quanto Neacle bramava. Itaque, quod ars adumbrare non valuit, casus imitatus est.[2] Questo però miracolo fu dell’arte. Ma chi potrebbe giammai celebrare a bastanza il miracolo nuovo della grazia, che nel velo di Veronica si formò da Cristo? Fra la sua faccia, qual viva spugna di vari colori tinta, v’aveva il pallido della morte, il vermiglio del sangue, il bianco delle lagrime, e l’ombre dell’enfiate: ed ecco avvicinando quivi il bianco velo per rasciugare il volto, il volto vi rimase con pietosa sembianza al vivo impresso.

196 Sogliono gli amanti sposi, qualora imprendono lungo passaggio o viaggio, e stretti si veggiono di vivere lontani dall’amate non meno, che amanti spose, lasciare per loro conforto sì artificioso ritratto, e sì naturale, che si stimi da chi il vede, che di vivo nulla vi manchi fuorché la parola, e che ne pure questa vi manchi se all’occhio e’ crede. Tale il divino Sposo trovandosi già vicino alla partenza dalla terra al Cielo, e dovendo rimanersi di qua per lungo tempo la sua amata Sposa, per partito prese di lasciarle, a consolazione di lei la propria effigie, non formato da altro pennello umano, ma divino: non ombreggiata con colori morti, ma col sangue vivo: e non privo di voce, ma favellante, che a dirla con Agostino, Quia ipse Christus Verbum Dei est, etiam factum Verbi, verbum nobis est.[3] E non essendo formata con ombre mute, ma con parlanti colori, che tali sembianti facevano le lagrime sonore, e ‘l gridante sangue, di cui è scritto, Accessistis ad sanguinis aspersionem melius loquentem, quam Abel:[4] o quanto di conforto reca all’anima amante questo vivace e favellante volto? O con quanta ragione egli si duole di chi, o sordo non l’ode, o duro non si rammolla, o diamantino non si strugge, o ingrato nol loda, o discortese nol riama, e tal si rammarica, Vide homo, quae per te patior, vide poenas, quibus afficior: vide clavos, quibus confodior: et si gravis est poena exterior, internus tamen dolor est gravior, dum tuam cerno ingratitudinem.[5]

197 A premeditato fine adnnque, così il sommo Padre, il quale, Multifariam, multisque modis olim loquens in Patribus, novissime locutus est in Filio:[6] come il divino Parto, il quale per ben trentatré anni fra noi usò, e tutto pio co’ mortali favellò in varie forme, e sotto varie figure, ora volendo accommiatarsi dalla terra, e tornare in Cielo, per partito prese, a consolazione di sé, ed a conforto di noi, di lasciarci in bianca tela il proprio volto, acciocché con essonoi ragionasse in sua vece, ond’io posso ridire con Agostino, Hoc ergo admotum est sensibus, quo erigeretur mens , et exhibitum est oculis, ubi exerceretur intellectus.[7] Repeterò dunque io col Regio Profeta, Hodie si vocem eius audieritis: nolite obdurare corda vestra. E noterò, che meritamente secondo Cassiodoro e’ disse, Hodie, et significat semper, qnin iugiter audiendus est, qui salubriter monet, Nolite obdurare corda vestra, quia non credentium corda omnino lapidea sunt: et vere silicibus comparanda, quae imbrem fructiferum non recipiunt.[8] Deh, che nel santo sudario le lagrime egl’impresse e’l sangue col sudore, sì per ricordarti, che con pianti amari s’ingegnò egli di rammollare il sasso marmoreo, e’l diamantino selce del tuo duro cuore, e sì per confonderti se tu ancora dirottamente non piagni. Indi così ti sgrida ‘l devoto Bernardo, Audi cor non carneum, sed lapideum, illum magnum Iesum, in diebus carnis suis, in ea carne, quam pro me assumpserat lacrymis immaduisse, et adhuc aridum permanes? O cor durum, audis commoveri pro me ad lacrimas illum, qui in aeternum stat, et non commovebitur, nec adhuc tu ad lacrymas commoveris?[9]

198 Che se l’acqua non cava, e non dirompe l’insassita durezza del tuo cuore, v’aggiugnerò con lo stesso Bernardo, quell’invitto e vittorioso fuoco, il quale dovunque il piede imperioso pone, il tutto vince, stritola ogni durezza, il gielo fuga, e infino il ghiaccio riscalda, Addam et ignem charitatis, et passionis sanguinem, si forte calefias, si emolliaris, ut dulcissimo Iesu pro lacrymis suis, et sanguinis effusione, solas saltem lacrymas rependas. [10] Che se il fuoco non basta, mi varrò del ferro, del ferro, di cui si legge, Ferrum domat omnia:[11] e al ferro aggiugnerò martelli e cunei, Adhuc addam et malleum gravem, et cuneos ferreos intutiam, ut scindaris, et addo instrumenta fortia malleum Crucis, et cuneos clavorum ferreorum, ut illis tibi incussis scindaris, et fontem lacrymarum salubrem effundas. Ma se a tanti argomenti e stormenti indomabile ti dimostri, e qual diamante del fuoco non temi, e del ferro trionfi, cedi alla fine, cedi al mio proprio sangue, poiché io a guisa d’Agnello, per te l’ho sparto, Si vero et adhuc permanet inconcussum, eo quo in adamantis duritiam sit connersum, qui solo haedi sanguine potest molliri, offero tibi haedi pariter et Agni immaculati optimi Iesu sanguinem copiosum, calore incomparabilis charitatis ferventem, qui sua fortitudine illum adamantinum parietem inimicitiarum positum inter Deum et hominem, omnino comminuit , et dissolvit.

199 Deh mira, mira pure in cotesto sacro volto il sangue prezioso di Giesù, quasi di purissimo Agnello, o di capretto, il quale, benché uscito dalla nostra carne, libero egli era da ogni macchia di colpa, e acconcio a torre del mondo i peccati. Quivi adunque tu lava le tue macchie, e immergi il tuo cuore, e vivi sicuro, che quantunque sia diamantino, diverrà molle, e spanderà di lagrime fonti e fiumi. A tal’ impresa lo stesso Abate, con tali consigli t’invita, Huius ergo haedi et Agni copioso sanguine, o cor adamantinum inungere, et immergere te, iace in illo, vi calefias, calefactum emolliaris, emollitum vero, fontem lacrymarum effundas.[12] E veramente, o Huomo di dolori, qual’occhio, non dirò di fedele, ma di Barbaro o di Scita potrebbe fisarsi in sì diformata e compassionevole figura, senza risolversi in fonti e fiumi di pianto, veggendo, che quel volto, il quale era già il più bello, e ‘l più prezioso di tutti i volti angelici, non che umani, ora sia divenuto tanto difforme, quanto o la madre natura, o l’arte maestra producesse giammai o alcuno mortale vivente, o effigie dipinta, ch’essendone sparita ogni bellezza, altro non vi rimane, che piaghe enfiate, sangue, lividori ed orrori, che v’hanno del tutto mutata per maniera la forma umana, ch’altro non vi si vede, fuorché, Vulnus, livor, et plaga tumens, et non est in eo sanita[s], non est in eo forma humana.[13]

200 O amatrice Veronica, tu la quale eri già avezza, a mirare con tale e tanto conforto de gli occhi tuoi, e con sì traboccante gioia del tuo cuore,[14] quel volto bello, che innamorava i Cieli, e in cui, Desiderbanat Angeli prospicere: qual affanno, qual duolo ora sentivi, nel rivederlo mutato a fatto da quello, ch’esser soleva?[15] Ai, che potevi repetere col piangente Profeta, Quomodo, obscuratum est aurum, mutatu; est color optimus? e potevi altresì dire: Oimé, che veggio? e come posso vederlo senza venir meno? come è oscurato quell’oro, di cui pareva composto il tuo divino capo, e quelle chiome dorate, le quali faccevano sembianti di raggi solari? Ai, che l’oro è mutato; e mutate le chiome, ne altro vi si vede, che nere spine, congelato sangue, capelli stracciati, e rabbuffate chiome. Ai, che ‘l colore pur dianzi ottimo e vago, è sì mutato che dove eri già candido e vermiglio, e portavi la bandiera sopra tucci(?) i belli, ora, Denigrata est super carbones facies tua, et non est agnitus in plateis.[16] E certo, qual occhio sarebbe, che non ti compatisse, se col divino lume ti conoscesse? Anzi a ciò basterebbe il solo umano, perché non può dirsi huomo chi non ha compassione delle passioni d’Iddio per amore de gli huomini già fatto huomo, e da gli spietati giudei ridotto a segno,[17] che Non est in eo forma humana. Pure io, o faccia divina pietà spirante, reverente v’adoro, e tra lagrime e sospiri tal vi saluto.

Salve caput cruentatum,
Totum spinis coronatum,
Conquassatum, vulneratum,
Arundine verberatum,
facie sputis illita.

Salve, cuius dulcis vultus,
Immutatus et incultus,
Immutavit suum florem,
Totus versus in pallorem,
Quem Caeli tremit curia.

Omnis vigor, atque viror,
Hinc recessit, non admiror.
Mors apparet in aspectu,
Totus pendens in defectu.
Attritus aegra facie.

[1] A margine: “Bernardus Ser. I in die Sancto Paschae”. [2] A margine: “Valerius maxim. Lib. 8, cap. 11”. [3] A margine: “Augustius Tract. 24 in Ioann.”. [4] A margine: “Ad Hebr. 12.24”. [5] A margine: “Ex Bernardo”. [6] A margine: “Ad Hebr. I.I”. [7] A margine: “Augustinus ibid. Psal. 94.8”. [8] A margine: “Cassiodorus hic”. [9] A margine: “Bernardus lib. de Passione Domini cap. 33”.[10] A margine: “Idem Bernardus ibid.”. [11] A margine: “Daniel 2.40” [12] A margine: “Idem Bernardus ibid.”. [13] A margine: “Isaia I.6 Hebraeus”. [14] A margine: “I Petri I.12”. [15] A margine: “Thren. 4, I”. [16] A margine: “Thren. 4.8”. [17] A margine: “Ex Bernardo in orat. ad Christi faciem”.

12-stazioniLink al testo

Trascritta da Diggi

 


GUTE-URLS

Wordpress is loading infos from clicart

Please wait for API server guteurls.de to collect data from
www.clicart.it/giacomo/Displa...