Luigi Vicoli, Il Volto Santo, in Per la passione del redentore, Scritti di Luigi Vicoli, p. 59, 1859, Chieti, Italia.
In onore dei Trofei di Cristo, realizzati dall’artista Raffaello Del Ponte per la processione del Venerdì Santo di Chieti, uscì nel 1859 un volumetto illustrato coi disegni dell’artista e corredato da poesie dedicate ai vari simboli scritte da Luigi Vicoli.
In nota alla poesia dedicata al sudario della Veronica, Vicoli fa riferimento al Volto Santo di Manoppello al quale Del Ponte si era ispirato, e, forse per primo, sottolinea la coincidenza tra il Volto Santo di Manoppello e il ritratto del Durer cui fa riferimento il Vasari nella vita di Raffaello.
* Venerato nella Chiesa de’ PP. Cappuccini in Manoppello, piccola ma civilissima Città dell’Abruzzo chietino. Si ha per tradizione che questa mirabile Effigie fosse stata nell’anno 1506 donata da un Angelo, sotto figura di peregrino ad un tal Giacomantonio Leonelli, culto e pio uomo della città suddetta: e ognun sa che la tradizione è il principio di ogni storia. La dipintura è a trasparenza sopra sottilissimo velo, come quelle di Alberto Durer tedesco rammentate dal Vasari nella vita di Rafaello da Urbino. Leggasi il cenno storico che precede la Sacra Novena in onore del SS. Volto di Gesù Cristo che si venera in Manoppello. Chieti. Tipografia di F. del Vecchio.
Un illustre storico, parlando dell’effigie del Redentore, dice: “La leggenda racconta che Abgaro re ottenesse da Cristo il suo ritratto, il quale stette ascoso in Edessa fino al V secolo, e che si suppone prodotto, siccome le sindoni e i devoti sudarj di Roma, di Spagna, di Gerusalemme, di Torino, dal semplice contatto col corpo divino. Se non che così poco somigliano fra loro da non potersi accertare la vera”.
Il Volto Santo *
A Leopoldo Dorrucci
“O Signore, alza la luce del tuo volto sopra di noi” David
Tutti stretti dal vincol di un voto
Proni intorno al divino Sudario,
Celebriamo con inno devoto
Il prodigio che il cielo operò.
Anche noi pel sentier del Calvario
Volgiam l’orme ove amore ci guida;
Sol chi al Dio de la Croce si affida
Del trïonfo la palma aver può.
La mirifica effigie di Cristo
Sta fra un popol che nacque pel cielo:
Non temiamo, e securi a l’acquisto
Procediam de la gioja eternal.
Ma se un Dio, che patì, da quel velo
Con sorriso di amore si affaccia,
Pur con guardo di sdegno e minaccia
Atterrisce il perverso mortal!
L’aspetto augusto del Nazareno
Un terror sacro ne infonde al seno…
A la presenza del Dio vivente
L’alma si sente,
E trema il cor.
Pure un’arcana virtù possente
E al vago aspetto del Nazareno
Torna sereno
E esulta il cor.
E, ciechi del Giusto fuggimmo il sembiante,
Spregiando sovente le leggi sue sante!
Dio sol non inganna;
Ristora, se affanna…
Torniamo al söave suo giogo d’amor!
Letizia è de’ cieli, del mondo è ricchezza,
De’ grami adamiti speranza e salvezza;
Di gente tapina
Non vuol la ruina,
E accoglie la prece che siegue l’error.
O Cristo che redimere
Volesti l’alme schiave,
Gran Dio de la giustizia
Che il mondo adora e pave,
Ascolta tu degli esuli
Il gemito dolente,
Deh guarda la tua gente
Che plora e spera in te!
Per noi di donna nascere
Tu non volesti invano;
A l’uom caduto e misero
Porgesti tu la mano,
Tu lo rendesti libero
Dai lacci del Rubello,
Ti festi a lui fratello,
E gli era padre e re!
Di governar ti piaccia
Ora che in cielo siedi
Quei che nel duol t’invocano,
Del regno tuo gli eredi;
E se tua sacra imagine
A noi lasciasti in terra;
Nel bujo de la guerra
Luce ne dona ancor.
Sempre che i guai ci opprimono
E che l’affanno è molto,
Fissiam gli sguardi supplici
Nel tuo celeste volto;
Ei nel cammin de’ triboli
Ispira a noi coraggio,
Onde sprezziam l’oltraggio
D’un infernal livor.
Tu, che al fiacco apprendesti a soffrire,
Che morendo vincesti la morte,
Or prepari un sereno avvenire
Ai seguaci del puro Vangel.
Perché il diritto non è del più forte
La tua legge, ti ucciser gli stolti;
Ma tu ancora ci guardi ed ascolti,
Stai di esempio al tuo popol fedel.
Su quel viso ancora appare
L’onta vil de le percosse,
Vi scorgiam le doglie amare
Perché a l’ira non si mosse,
Vi leggiamo il bacio impuro
D’un discepolo spergiuro,
D’un amico traditor;
Vi leggiam pe’ rei tiranni
La parola del perdono,
E i mortali estremi affanni,
E il dolor de l’abbandono;
Vi miriam sul fronte e il crine
La corona de le spine,
Sangue e gelido sudor:
Su quel viso è pur scolpita
La pietà per quella Pia,
Che, ne l’alma impietrita
Da l’angoscia, il piè seguia
Del Figliuol carco di Croce
Infra un popolo feroce
Che traëvalo a morir!
Ma verrà stagion felice
Che vedrem quel ch’ei figura,
L’alma faccia irradiatrice
Del gran Sol che non si oscura,
Senza macchia d’odio umano
Da terrena aura lontano
Ne la reggia de l’empir.
Salve, o de’ Santi Speglio,
Gloria del secol vera,**
Tu sei de’ prodi il Labaro,
La trïonfal bandiera!
Canto novel di laude
Sciorranno a te d’intorno
In quel terribil giorno
Che il mondo finirà:
Quando cadrà de’ secoli
Infranta la catena
E perirà l’orgoglio
Di che la terra è piena,
Te seguiranno i popoli,
Te seguiran, risorti
Dai lor sepolcri, i morti;
E ognun l’appello udrà.
De le angeliche tube a lo squillo
Anderemo al giudizio finale,
E il fulgore del nostro Vessillo
Su la Valle vedrem balenar.
Rivedrem quel sembiante immortale…
Il gran Giudice de la vendetta…
Ma non fia che la gente or diletta
Piombi allora del pianto nel mar.
** Salve, decus Saeculi; Speculum Sanctorum. Verso dell’Inno che si canta nelle processioni e nelle esposizioni della sacra Reliquia.
Tratto da Per la passione del redentore, Scritti di Luigi Vicoli, Chieti 1859, p.59
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