1940

E. Ballerini, San Giuda mostra il velo a re Abgar di Edessa, tela, 1940, abside, chiesa San Giuda Taddeo, Roma, Italia.

San Giuda fratello di Giacomo e quindi cugino di Gesù, probabilmente a causa dell’omonimia con Giuda il traditore, è uno degli apostoli meno noti (è anche chiamato l’apostolo dimenticato). Il secondo nome, Taddeo o Lebbeo (di grande cuore, coraggioso), può essergli stato dato per distinguerlo dall’Iscariota o per un nesso all’unica sua domanda riportata dai vangeli e alla risposta ricevuta da Gesù: «Gli disse Giuda, non l’Iscariota: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.”» (Giovanni 14, 22-23).

Forse è un riferimento a questa risposta il fatto che Giuda Taddeo sia identificato da un piccolo ritratto di Gesù che porta al cuore e da una fiammella sul capo.

Ma Giuda Taddeo è stato coinvolto dai racconti e dagli apocrifi nella vicenda di re Abgar, e il ritratto – come in questo dipinto – diventa un richiamo al Mandylion edesseno.

Eusebio di Cesarea, nella “Storia Ecclesiastica” del 325, identifica Giuda Taddeo con lo sposo delle nozze di Cana, durante le quali Gesù compì il primo miracolo trasformando l’acqua in vino.

Eusebio riporta anche lo scambio di lettere fra Cristo e il principe Abgar di Edessa: Abgar lo prega di recarsi da lui in Edessa per guarirlo dalla sua malattia; Cristo risponde che può svolgere la sua missione solo in Israele, ma dopo la sua ascensione manderà a Edessa uno dei suoi discepoli. Secondo quanto riferisce Eusebio, l’apostolo Tommaso avrebbe inviato ad Abgar uno dei 72 discepoli, di nome Taddeo, chiamato anche Addeo (confondendo  l’apostolo Taddeo, con Addeo, uno dei 72 discepoli, per tradizione il fondatore della chiesa di Edessa).

Nel 544, durante l’assedio persiano a Edessa,

Nella raccolta di scritti siriaci, nota come Dottrina di Addai, databile all’inizio del secolo V, compare per la prima volta il ritratto di Cristo: inviato da Abgar «l’archivista Anania, il quale era anche pittore del re, dipinse il ritratto di Gesù con colori scelti». Alla stessa fonte attinge anche il padre della storiografia armena, Movses Khorenatsi: all’immagine «che si trova ancora oggi nella città di Edessa» non viene dato alcun risalto, si tratta di un’immagine dipinta al naturale.

Per trovare un’origine miracolosa del ritratto ci si deve riferire alla versione greca, gli Atti di Taddeo, ma la cui datazione è controversa. Anania non si limita a consegnare la lettera, ma è incaricato di osservare con attenzione le fattezze di Cristo, per riferirne al sovrano. Il messo esegue il suo compito, «ma per quanto fissasse Cristo non gli riusciva di impadronirsi dei suoi lineamenti e dipingerli». Il figlio di Dio penetra nel cuore degli uomini e, avendo compreso la sua intenzione, chiede di lavarsi. Nell’asciugarsi, il suo volto bagnato s’ imprime sul pannolino che è poi consegnato ad Anania.

La vicenda del Mandylion si arricchisce di ulteriori particolari nel racconto di Evagrio Scolastico (536-600).

Nel 944, quando l’Immagine di Edessa viene traslata a Costantinopoli, l’arcidiacono Gregorio in una omelia ne riassume la storia. Per lui a portare il panno col ritratto di Cristo a re Abgar non sarebbe stato Anania ma l’apostolo Giuda Taddeo. A Giuda l’avrebbe consegnato Tommaso che l’aveva ricevuto dalle mani stesse di Gesù che si era deterso il sudore dopo la preghiera sul Monte degli Ulivi.

 


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