La Veronica vaticana del signor Francesco Mochi. Componimenti poetici, per Lodovico Grignani, 1642, Roma, Italia. Bibliothèque nationale de France.
Il volume raccoglie i componimenti poetici scritti in occasione dello svelamento della colossale statua di Santa Veronica realizzata da Francesco Mochi, commissionata da Urbano VIII per la crociera di San Pietro.
Il libro di 36 pagine, consta di 27 poesie composte da 22 diversi autori: oltre la metà sono sonetti, dei quali uno in spagnolo, tutti uniformati dallo schema a rima incrociata ABBA ABBA nelle quartine e alternata CDC CDC nelle terzine; 2 sono costituite da quartine di endecasillabi e 3 sono riconducibili alla forma canzone, delle 8 rimanenti, in latino, 3 sono anagrammi e 5 sono composizioni in disti elegiaci.
Al virtuoso lettore
Non più si vanti delle sue felicità il Secolo d’Oro, poiché in questo di Ferro non tanto ingegnosamente, quanto mirabilmente, sino gli stessi ferri parlano: i marmi anche da questi prendono vita, e suono; ed essi, per vincere l’opere della Natura, abbattendo i monti, a se innalzano trofei d’immortalità. Già cadde in Rodi il Colosso del Sole, ed ora nel Vaticano risorge quello, ove il Padre del Sole s’adora: l’Opera è superiore ed ogni lode, e non ha altro di pari, che lo stupore, formata dal prezioso scalpello del Signor Francesco Mochi, la cui singolar virtù (per comprendere in breve il tutto) ha meritato di ritrarre il Volto di Cristo in terra. Non ha dubbio, che le carte sono state invidiose de’ marmi, e anch’esse hanno voluto concorrere a felicitare il secolo, e l’Opera; e ben dissi che furono invidiose: poiché è prova di molto ardimento il pareggiar l’eminenza de’ Colossi; pur’è certo che anche le tavole de’ naufraganti ne’ gran tempii s’appendono. Io ho raccolte le Memorie di questi grand’Ingegni all’opere famose di Virtù devoti; e con ordine, che i lor nomi m’insegnano, le do alle stampe, Lettore, agli applausi delle industriose meraviglie godi, e felice vivi.
Antonio Francesco Tacchini
Al lodatissimo uomo Francesco Mochi
Tv Francisce Mochi
anagramma
Hic Veronicam Fecit
Divinae ostendit terris miracula dextrae; dum Fecit Hic Veronicam. (Mostrò alle terre i miracoli della destra di Dio, mentre fece qui la Veronica.)
Bartolomeo Tortoletti
Per la santa Veronica vaticana, statua spiritosissima di Francesco Mochi
Mochi, d’alto silenzio oggi mi desto La Veronica tua negli ultimi anni Qui contemplo l’ignudo, ammiro i panni E nella nudità godo la vesta. Verace è l’Arte, e la natura onesta; E fanno a gara altrui soavi inganni. Se parla, se cammina, e s’è in affanni, E marmo questa Diva? E’ statua questa? O Vatican, come beato sei. E a me chi potea dir, che dentro al gelo D’un monte alma spirante anco vedrei. Se corre dietro al suo Signor col velo, Mochi, che tanto puoi, ferma costei: se no, si fugge e lo raggiunge in Cielo.
Carlo Ferrarino
De simulacro divae Veronicae, In Vaticano Templo erecto
(Sulla statua della divina Veronica, eretta nel tempio vaticano)
Maxima marmoreo stans moles podere, format Veronicam, manibus quae tenet ora Dei. Prob quantum Artificis potuit celeberrima virtus; En iubet egregia vivere saxa manu. Sculpta silet moles? nil mirum; turba superbum Dum miratur opus, non libet esse loquax. Frenat anhelantes artus? dum sacra Tonantis Ora oculis praebet, non licet esse fugax.
(L’enorme mole di marmo massiccio che si erge, rappresenta Veronica, che regge tra le mani il volto di Dio./Oh quanto riuscì a creare la straordinaria capacità dell’Artista! /Ecco ordina con la mano alla pietra di essere viva. Tace la massa scolpita? Nulla di strano; la folla, mentre osserva l’opera superba, non vuole essere loquace. Trattiene le membra mobili? /Mentre si osserva il Volto sacro del Tonante, non si può fuggire.)
Curzio Pichi
Santa Veronica parla ad uno che guarda la sua statua
Ferma, ch’è viva, e non scolpita pietra Che muta posi qui, come altri crede; Mira, scioglie la lingua, e muove il piede Per dirti a Dio, per ricondursi all’etra. Artefice mortal mai non impetra Dall’opra lo stupor, ch’in te si vede, l’occhio alla man, la mano all’occhio chiede se quest’è marmo, o pur s’i marmi ei spetra. E giusto è ben, s’io dall’eterea foglia, quando vidi quaggiù l’imago impressa di confondermi seco ebbi pur voglia, Ed or qui resto ad abitar con essa Dubbia, dove il mio spirto oggi s’accoglia S’ella in me vive, o s’in lei vivo io stesso.
Francesco Bracciolini
Per la statua di Santa Veronica, scolpita da Francesco Mochi.
Quel volto, onde appagarsi hanno talento Gli angeli in Cielo, ha la tua mano espresso Francesco; e’l tuo scalpello ha lor concesso La reliquia immortale d’ogni contento. Morto il sasso parea, ma vivo a cento Prove riesce, e’l ver gli perde appresso, e non pur vivo è l’alabastro impresso, ma vive, e spira a intumidirlo il vento. Mosse Dio fu’l morir pietoso sdegno De’ nostri falli; e per partir si volse, del Ciel tornando al sempiterno regno. Ma lo frenò Veronica, e raccolse Mochi in un velo il glorioso Pegno, e’n vital fascia il morto mondo avvolse.
Francesco Fomighieri
Francisci Mochi Opvs
anagrammatismus
Veronicam Hic Poscis
Haec caelata diù caelavit marmora Mochus; /Veronicam hic poscis, Roma beata? Vides. / Artificis famam ne caeles, sculptor in isto /Marmore dum caelat Veronicam atque Deum.
(Mochi ha lavorato a lungo questo marmo; qui cerchi Veronica, Roma beata? La vedi. Non scolpire la fama dell’artefice, lo scultore, mentre rappresenta Veronica in questo marmo, vi rappresenta anche Dio.)
Giacomo Guglielmi, accademico umorista
Detto a Francesco Mochi, scultore eccellentissimo
Ben della vera fe’, ch’al Cielo è via, Santa Donna, sei tu maestra mano; mentre di lui, ch’era uomo, e Dio sovrano, accogliesti in sudor l’Imagin pia. Ma qual di due maggior miracol fia, scerner non so, del sacro Volto umano; che già dipinto in bianco lino, e piano, ora in rilievo d’apparir desia. Se la pietà, ch’ell’ebbe a fedel atto. Gelata in marmo par quasi non spiri, suda in pallido marmo il pio ritratto. E tu’l confessi, o stupid’uom, che miri Sventolar il bel lin, che sembra fatto Da Dio, per vincer gli stellanti giri.
Cavalier Gio. Baglione
In lode della statua della Veronica
Vera imago sei tu della pietosa Ebrea, che porse al Redentore il velo Ch’in terra no, ma fabbricata in Cielo Vaga altrettanto sei, quanto dogliosa. Nell’aspetto, e nel moto generosa, sciogli il piè, formi il suono, ardi di zelo e ogni alma pungi d’amoroso telo: o della meravigliosa opra famosa. Ben a te’l Mochi dié pietosi affetti, e della mano sua l’alta fatica, benché di marmo sia, fiamma è de’ petti. Vince ei di Fidia l’eccellenza antica; e (i bracci dell’invidia in ferro stretti) l’eternitade ha de’trionfi amica.
Cavalier Gio. Baglione
Per l’istessa, Al Mochi
Questa, ch’il sacro vel per te dispiega, ov’entro sculta è del Signor l’imago, con pié spedito, e con aspetto vago dal marmo parla, ed al cammin si piega. E’ mentre tua virtù l’alme vi lega; e da’ liti del Gange a quei del Tago solo di te l’uman sapere è pago, a te si deve ciò, ch’altrui si nega. Mochi, del tuo scalpello il magistero L’emule glorie ha vinte, e’l tuo valore Ha dell’opere industri il sonno impero. E t’ordirian le Muse eccelso onore; ma nel mirare il simulacro altero. Statue anch’esse, per te, son di stupore.
Gio. Battista Giangrandi
Per la statua della Veronica posta in S. Pietro di Roma, opera di Francesco Mochi, scultore celeberrimo
Questa, che sculta in sì pietosi gesti Spiega il sanguigno Velo, e’n torno gira, leva il pié destro, e l’altro al moto aspira e par, che i labbri al favellare appresti Imago è di colei, che di funesti sudori impresso il sacro Volto ammira; Che mentre espresso in questi marmi spira Fa i cor di marmo istupiditi, e mesti. O di maestra mano alti stupori, un sasso per martir vien che si spetre, e forma industre acciaro anco i dolori. Quivi le Trace, e le Tebane Cetre fian scarse, e mute lingue ai vostri onori fioche, Mochi, per voi parlan le pietre.
Gio Simone Ruggieri
A Francesco Mochi per la sua statua di Santa Veronica nel Vaticano
Taccin le prische pur famose etati, non vantino più i marmi eretti a Belo, o quei fastosi, che già vide al Cielo per la propria regina Egitto alzati: e da ingegni più eccelsi, e più purgati s’ammiri la tua Ebrea, che nel bel velo impressa tien del vero Dio di Delo l’imago, esangue agli odii altrui spietati. Ahi che, gran Mochi, il mio pensier s’augura; che debba al fine al tuo scalpel sovrano cedere i fasti suoi vinta Natura. Che render molle un duro sasso, e umano, di lei non è, né puote esser fattura; ma solo opra di te, della tua mano.
Gregorio Leone
A Francesco Mochi
Peregrino d’ingegno Fissa gli occhi, e poi mira, poi rimira, e ammira di candido colosso atti vivaci, ed ebbro di stupor fra se contende. Se questa donna è viva, come marmo rassembra? O se di spirto è priva, come spirto respira in vive membra? Sì sì, ben chiaro la mia mente intende Ella contempla la trafitta Imago, onde (trafitto il cuore) marmo vago le rende il suo dolore.
Ioannis Ancini Regiensis
In egregium sculptorem Franciscum Mochium, Qui in Vaticana Basilica Sanctae Veronicae Statuam figuravit.
(All’egregio scultore Francesco Mochi che nella basilica vaticana fece una statua di Santa Veronica)
Franciscvs Mochivs
anagramma
Hoc sacro fis unicus
(Francesco Mochi : diventi con questo sacro)
Insignem in multis celebrat te Roma / Sed Hoc Fis Unicus in Sacro; / hoc nomime cuncta vales.
(Roma ti celebra insigne fra molti ma diventi il solo in questo sacro; con questo nome superi tutte le cose.)
Marco Antonio Tornioli
In Veronicam marmoream Francisci Mochii
(Sulla Veronica marmorea di Francesco Mochi)
Aeterno Genitore satus, iam morte subacta Se tulit ad superas, regna paterna domos. Victorem excepit Genitor, solioquè locavit; Imperiumq. Orbis, iudiciumquè dedit, Qui nunquam exhaustos subiturus morte labores, Invicta retinet sceptra beata manu. Ille tamen veteres iterum fert ore dolores. Artis honor. Poenas flebile marmor habet.
(Generato dall’Eterno Padre, dopo aver ormai sconfitta la morte, raggiunse le dimore celesti, regno del Padre. Egli lo accolse vincitore e collocò sul trono; diede il dominio ed il giudizio del Mondo a Lui, che compiuta la Sua missione non avrebbe più affrontata la morte e tiene con mano invincibile lo scettro beato. Egli tuttavia porta ancora sul volto gli antichi dolori. Pregio dell’arte. Il marmo che induce al pianto mostra le pene.
Martino Longhi
A Francesco Mochi, celeberrimo scultore, per la statua di santa Veronica da lui fatta in San Pietro in Vaticano
Della pietosa ebrea, ch’in lino impresso Ritratto ebbe d’Empireo alto Monarca Mentr’hai gran Mochi il simulacro espresso, L’istessa meraviglia il ciglio inarca. Più, ch’a Fidia, e Lisippo, a te’l permesso D’encomii inonda; e Fama tua non parca D’eterno suono, a immortalarti appresso Porta il fuso, in trofeo, rotto alla Parca. Vinta riman Natura all’ardimento Dell’arte, onde usurparle ogn’or più sembra Marmorea Immago, e spirto, e movimento. E’ viva, ma nell’atto, in cui rimembra L’aspro del suo Fattor strazio, e tormento, non vuoi, che per dolor muova le membra.
Mathias Pradas
A Francesco Mochi por la statua, que eseulpio de la Beronica para San Pedro in Baticano
Inspira Apolo accentos en potencia, que humor, y fuego dan organizada, mas seca vos organizais, y helada para cabla con silencio su carencia. En oible desata a quel affluencia De un genio vivo vena destinada, y vos de un marmol muerto a el negada en visible la no a vuestra obediencia. De este en piedad tan defatada miro La a todo sentimiento repugnante, que admirandola en el me siento atado. De genios estaurario os, Mochi, admiro Por Apolo de riscos preinspirante, y no bien de unos, y otros admirado.
Michelangelo Lualdi
La Veronica del Mochi, In atto di camminare
Dove, Donna veloce, or volgi il piede? Se nel candido lino Predatrice amorosa Il tesoro divino Ne porti gloriosa? Ferma, ferma le piante, acciò che’l miri il popolo infedele, e ne divenga amante. Ah che turba crudele Non vuol fissar già mai I lumi, ov’ha Pietà sculti i suoi rai. Ma che veggio? Accorrete, oimé, che fate Turbe; più non tardate. Duolsi la Diva, e spira, e, bench’ella apra i lumi, il dì non mira. Ed ecco per stupor O caso strano, ahi lasso, s’è cangiata in un sasso.
Michelangelo Lualdi
La Veronica del Mochi, In atto di mostrare il Volto Santo al popolo
La vostra crudeltade Ancor, turbe feroci, non scorgete Nel Volto di Pietade? Se questo lino impresso Del sembiante d’un Dio, non vi muove, or vi muova il volto mio; che senza lingua parla, e senza vita vive, e la vostra ferità v’addita.
Ottavio Tronsarelli
Ad Franciscvm Mochvm, De statua divae Veronicae
(A Francesco Mochi riguardo la statua di Santa Veronica)
Saxa olim mentita Orbi simulacra dedere; Ast in Veronica dat modò vera lapis, Tristes Diva refert algenti pectore curas, Sanguineo poenas esplica ore Deus. Cedat Pigmalion: hic eburnea corpora finxit; Set tu, Moche, facis marmora viva loqui. In saxo vivis, veliq; in imagine spiras; Et famulata tuis nutibus aura venit. Contendant alij, mortalia ponere saxis; Tu dare scis Divam, scis animare Deum. Veronica hoc vellet clausisse in marmore lucem; Vitae at iuncta Deo, non obijsse potest. Imò hic tam mirè faciem dum sculpis Iesu, In terris Coelum gaudet habere Dea. Unoquè in saxo cum tot miracula pandas, Est verè ingenio Terra beata tuo.
(Le pietre un tempo rappresentarono falsi simulacri,/mentre nella Veronica, ora, la pietra presenta il vero;/la Santa riporta con animo raggelato le tristi sofferenze,/Dio mostra sul volto insanguinato le sue pene:/Pigmalione si dichiari vinto: egli modellò un corpo d’avorio,/mentre tu, Mochi fai parlare il marmo come fosse vivo./Vivi nella pietra, respiri nell’immagine./E al servizio dei tuoi cenni una brezza soffia./Si sforzino altri a rappresentare nelle pietre i mortali. /Tu sai dare vita alla Santa, a Dio./ Veronica vorrebbe aver chiuso in questo marmo la luce;/ ma una vita unita a Dio non può essere morta./ Anzi mentre tu qui scolpisci tanto straordinariamente il volto di Gesù, /la Santa è felice di avere il cielo sulla terra./ E mentre in una sola pietra tu rappresenti tanti miracoli,/ la terra è veramente felice del tuo ingegno.)
Ottavio Tronsarelli
De Veronicae simulacro, Quod probè furere videatur
(Riguardo alla statua della Veronica che sembra davvero essere fuori di sé)
Divam laudato furere immortaliter ausu, Dum benè non censes, tu malè Mome furis, Diva furit, summaeq; orbata est lumine mentis Torpet iners ratio deficiente Deo. Diva furit, sequiturque eterni funera Regis Est animi crimen lenta in amore fides. Diva furit, violensq; illi stat pectore virtus Desipere, ut rapiat sidera, gaudet amans. Diva furit, sacrisq; Dei calet aestibus acta Utq; est plena Deo, sic benè Diva furit.
(La Santa è fuori di sé ed è privata della luce della somma mente (?), la ragione è inerte e intorpidita se Dio viene meno. / La Santa è fuori di sé e segue il corteo funebre dell’eterno Re. È colpa dell’animo una fede lenta nell’amore. / La Santa è fuori di sé e una forza violenta sta nel suo cuore. Gode amando di perdere il senno, per trascinare le stelle (???). /La Santa è fuori di sé ed è riscaldata dagli afflati sacri di Dio….(?). E come è piena di Dio, così la Santa è fuori di sé.)
Ottavio Tronsarelli
De undanti Veronicae indvmento, Quod non inani fit artificio elaboratum
(Riguardo al velo che ondeggia della Veronica, che non sembra fatto con un’arte incapace)
Moerentis Divae meritò se inflectit amictus; Curarum amphractus vela recurva notant. Tristes dat nebulas sinuoso tramite vallis; Et vitae aerumnas plurima ruga docet. Ut solvat nimbos, crispatur nubibus aer, Undantiq; mari moesta procella fremit. Sic agitata monent acres velamina curas, Ipsisq; in spolijs vivida poena gemit. Fingere moerorem conata est dextra Timantis; Et velo involuit, quod rudis ipse nequit. At si cum pictis decertant saxa tabellis, Et melius formas exprimit arte lapis. Marmore et undanti vincit sub tegmine Divae Tristior ipse Dolor, doctior ipse Timas.
(Giustamente il manto della Santa che piange (soffre) si piega; / le pieghe denotano le ambagie delle sofferenze; / gli avvallamenti mostrano tristi nebbie; /le pieghe evidenziano i dolori della vita./ Per dissolvere le tempeste l’aere freme di nubi, / ed un triste uragano freme/ sul mare agitato. /Così i veli agitati ricordano i pungenti dolori. / Sugli abiti stessi una vivida pena geme. / La destra di Timante tentò di rappresentare la tristezza / e la coprì con un velo, poiché egli incapace non ci riusciva. / Ma se le pietre lottano con i quadri, / la pietra meglio esprime le forme con la sua arte. /più triste lo stesso dolore, più colto lo stesso Timante.)
Ottavio Tronsarelli
A Francesco Mochi per la statua di Santa Veronica
Mochi, la Diva tua punta di zelo Al duolo del suo Dio sasso diviene, anzi per te di vita ore ha serene, poich’ella gode in picciol lino il Cielo. E se pur forma ha di marmoreo gelo Di sé scintilla dall’algenti vene; i piè muove, a mostrarne il sommo bene, ed ha tremulo il manto, ondoso il velo. Di sì grand’Opra all’animato dono Né fremer s’oda, né spirar si veggia Del tempo l’ira, o dell’invidia il tuono. Vivo il sasso per te d’amor fiammeggia; s’increspa il manto degli applausi al suono e all’aura della fama il Velo ondeggia.
Salvator Rosa
Esortando a scoprir la Veronica. A Mochi
Scopri, scopri Francesco i tuoi tesori, già t’applaude la fama, e già t’invita Roma, che l’opra tua rara, e gradita Ben degna stimerà dei prischi onori. Qual mente fia, ch’ai chiari tuoi lavori Non resti da stupor vinta, assorbita: sai dar moto alle membra, al moto vita, e la vita arricchir d’alti splendori. I tuoi marmi emular vedrai le carte. Idolatrar gl’ingegni alla tua mano, e la Natura ammirar l’opre dell’Arte. E ben dei marmi tuoi, nel Vaticano, s’udiranno le voci intorno sparte all’apparir del sommo sole urbano.
Stefano Cilini, detto l’Occupato nell’Accademia degli Ottusi.
Pietosa ebrea, che fra gli oltraggi, e l’onte Potesti accor nel fortunato velo Esangue il volto, che rallegra il Cielo, Deh ferma, e tienilo a me breve ora a fronte. Oh se di Perseo già le sole conte Avverasse a tal vista un santo zelo Ch’io qui rappreso da marmoreo gelo Piante al peccar più non avessi pronte. Già mi trasformo in rigida pendice, e’l duol per gli occhi in lagrime comparte gemina fronte, che dal cor elice. Ah tu t’impetri ancor’a parte, a parte; ma deh, ch’a statua i parlo, il motto il dice opra del Mochi, oh meraviglia d’arte.
Tito Livio Cascina
A Francesco Mochi
Sento stringer con man l’aura fugace, e far de’ raggi suoi povero il sole, mentre ardisco lodar Mochi, che suole vincer co’ marmi sculti il Veglio edace. Ecco ha ripiena ormai d’aura vivace Pietra, che al duol del mio Signor si duole; sent’ella e spira; e se non parla, vuole mostrar tacita il duol, che l’ange, e sface. Non si vantin più mai de’marmi alteri, onde Atene ebbe il sen ricco, e fecondo, i secoli già spenti, e’ sui guerrieri. Ch’or espone con modo alto, e profondo Mochi ad onta degli anni più severi I miracol di Roma, anzi del mondo.
Tommaso Di Leva
ODA a Mochi, Che avendo girato l’Italia, vede solo Roma teatro delle meraviglie, e particolarmente vi ammira la statua della Veronica nel Vaticano
Torno di nuovo a riverir le mura, ove ebbe Italia imperioso il trono, poiché, quanto nel mondo oggi è di buono, qui palesano a gara Arte, e Natura. Qui solo il Cielo alla virtù destina Porto sicuro, e all’Eliconie prore; e’n chiaro onor non già paventa orrore, e’l latino splendor mai non declina. Apresi qui di nobil’orme impresso Sentier, che all’Etra, e all’Olimpo è guida, ove il tesor di quello onor s’annida, che ne promette il lusinghier permesso. Senza girar pregrinando il suolo,+ E far tra moti incanutir la chioma; animo vasto ha tutto il mondo in Roma, che alza di mille tempi un tempio solo. Sostengon qui senso vital le pietre Di grande onor per mille etadi ardenti, e con lingua tal or di tesi argenti colme d’alma virtù parlan le cetre. Bella vista è, mirando il Tevere, or come Mesto sen poggia in maestà pietoso, e nel Lazio muovendo il piede ondoso, porta torbide l’onde, e chiaro il nome. O con quanto stupor della tua mano Mochi l’alma Veronica vi miro, in cui quella virtù diffusa ammiro, che sa farsi splendor del Vaticano. Senso non han, non han pietà i sassi, e questa piange il Redentore Iddio; stanno ferme le pietre e or vegg’io scioglier già questa addolorata i passi. Tu ritogli la gloria a Delfo, a Delo, o primiero in onor, Fidia fecondo; e addoppiando i miracoli del mondo, di sculti marmi ti fai scala al Cielo.
Vincenzo Maria Savarelli
A Francesco Mochi per la statua della Veronica alzata in S. Piero in Vaticano
Taccian Olimpia, e Rodi i lor portenti, ceda i pregi del tempio Efeso a Roma, giace dal tempo ogni lor pompa doma, ma qui discordi invan son gli elementi. Svisceratogli il seno, or lieta Paro Nelle perdite sue vanti gli acquisti, mentre, al Mochi innalzar trofei non visti, non fu di marmi ogni suo monte avaro. L’idolo de’ Colossi oggi si vede Moto, e favella aver per la sua mano; e con l’eternità, nel Vaticano, maggior l’antico Lazio al mondo riede. Mochi, la mano tua, che i sassi avviva, come poté senza celeste aiuto, ritrar Volto da te mai non veduto, e dagli moto; e far, che parli, e viva? Come sapesti del suo aspetto privo Scolpir dell’alta ebrea vivi i sembianti? Poggiasti per mirarla in Ciel fra Santi, ov’ella stanza, e disegnarla al vivo? Ivi salisti, che già mai sì bella Di Davide la reggia non la scorse. Quando pietosa al suo Signore accorse, a ministrargli i lini, umile ancella. Lassù scorgesti ancor l’impressa tela: ma se nel ciel salisti, a che il ritratto ritrar, s’il Volto eterno, onde fu fatto, nell’empirea magion mai non si cela. Cristo, che fu di Dio corporea imago, nel Calvario i sembianti suoi divini lasciò a costei ne’ suoi pietosi lini, quando in croce morir per noi fi vago. Ma ceda a te l’effigiata ebrea: quando Gesù, già conversò fra noi, ella il ritrasse; e tu ne’ seggi suoi volasti ad improntar di lui l’idea. Mente mortal fra noi folle vaneggia, mirare Iddio co’l nostro umano velo; solo puoi tu scolpirlo or, che nel Cielo stassi a beare la stellante reggia. L’ebreo legislator già mai non scorse L’invisibile aspetto, e pure a fronte Già favellogli nel sacrato monte, quando l’antiche leggi Iddio gli porse. L’incomprensibil Re per te sol lice A mortali quaggiù scoprire in terra. Sì trionfando dell’umana guerra Fai, co’l vedere Iddio, l’uomo felice. Oh quanto il gran Michel sudò ne’ marmi, per dar materia al mondo, ond’oggi veda; ch’essendo norma a tutti, a te sol ceda, e si vanti cadere a sì grand’armi. Egli del sole tuo già fu l’aurora, vinse Roma per lui d’Atene i fasti; ed ora a superar tu solo basti l’attiche pompe, e le romane ancora. Ben giustamente a simulacro degno, ch’in marmi la tua mano industre impresse regio tempio di marmi al Cielo eresse della città dell’Arno il chiaro ingegno. Fia muta l’eloquenza a dir tuoi vanti, perciò l’adombra in van roca zampogna; suon ch’avanzi le trombe, a te bisogna, onde Ottavio sarà, che ben ne canti. Ei, ch’a’ trionfi del gran duce ibero Fece risonare in mar l’ultima Tile, sarà bastante co’l sonoro stile spiegar tuoi vanti, e pareggiarli al vero.
Dei due esemplari rimasti, uno è posseduto dalla Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma; il secondo si trova a Parigi nella Bibliothèque Nationale de France.
Trascrizione e traduzione dal latino a cura di Donata Piccoli della copia digitale online della BNF.
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