VIII?

Immagine edessena (Mandylion di Genova), tempera su tavola, 700-799, San Bartolomeo degli Armeni, Genova, Italia.

(la descrizione della cornice di età paleologa qui) Secondo la tradizione il Mandylion di Genova fu donato dall’imperatore di Bisanzio Giovanni V il Paleologo a Leonardo Montaldo, futuro doge di Genova. Il Montaldo morì di peste nel 1384 e lasciò l’achiropita al monastero degli Armeni. Nel 1507, quando Genova venne occupata dai Francesi di Luigi XII, il Santo Volto fu rubato e portato in Francia, ma dopo alcuni mesi, con l’intervento di ambasciatori e ricchi mercanti e banchieri genovesi, la preziosissima Reliquia fu riportata a Genova. Si racconta che oltre 20.000 persone si raccolsero in preghiera per chiederne la restituzione. Il ritorno del Santo Volto operò miracoli e guarigioni. Da allora l’icona non ha più lasciato Genova.

L’esame dell’icona rivela una storia piuttosto complicata. In origine era costituito da un dipinto a tempera su pannello di cedro, il volto, con barba appuntita e senza collo, era leggermente più largo. La tecnica, abitualmente usata per le antiche icone cristiane, non permette di datare l’opera (V-VII sec?). Le analisi chimiche al carbonio la datano al XIII secolo ma potrebbero essere state furoviate dai restauri e dalle ridipinture (della barba e dei capelli) e dalla documentata ripulitura del 1594 .

In una seconda fase, successiva al periodo iconoclasta (726-843), due aggiunte rosse (ICXC in un angolo e una croce sul retro) fanno pensare che l’icona fosse stata affiancata da due ante per divenire parte di un trittico. Hans Belting ipotizza che le ante fossero il pannello con San Taddeo e Re Abgar che riceve il Mandylion, del 940 circa, ora al Monte Sinai.

Forse fu in questo periodo che intorno alla testa furono inserite 170 perle che imposero al volto  il contorno inferiore a tre punte tipico dei Mandylion. In seguito il pannello fu tagliato e in parte coperto da una tela di lino (forse su questa tela era ridipinta l’icona, come è per l’Acheropita del Laterano). In una data successiva il telo fu rimosso e sostituito da una piastra in metallo prezioso. Nel corso di un esame sono stati trovati altri 30 fori riempiti di cera, esterni a quelli delle perle. La distanza tra questi fori corrisponde a quella dei chiodi della piastra d’argento del Mandylion di San Silvestro ora in Vaticano. Quindi è probabile che la piastra rimossa dal Mandylion di Genova nel XIV secolo – quando fu eseguita la cornice attuale di filigrana e smalto – fu applicata al Mandylion del Vaticano, non sappiamo se le icone in quel momento appartenevano entrambe al tesoro imperiale di Costantinopoli. Se così fosse cadrebbe l’ipotesi dell’identificazione della veronica romana medievale con il Mandylion di San Silvestro (Giovanni Morello, “Or fu si fatta la sembianza vostra? La Veronica di San Pietro: storia ed immagine”, in La Basilica di San Pietro, Fortuna e immagine, a cura di Giovanni Morello, Gangemi Editore, 2012, pag. 78). Sul supporto ligneo ci sono frammenti di stoffe precedenti all’anno mille, poste come reliquie per contatto. Ora l’icona è protetta da cornici del XVII e de XVIII secolo che avvolgono la cornice d’argento dorato di età paleologa con 10 formelle sbalzate che raccontano la storia del Santo Volto in relazione a re Abgar.

cfr. Herbert L. Kessler in G.Morello, Wolf Gerhard, Il volto di Cristo, catalogo  della mostra omonima, Electa editori, Milano, 2000.

Paolo Giardelli, Il Santo Mandillo nella Chiesa di San Bartolomeo degli Armeni

 

 

 


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